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LA "PASSIONE O IL COMPIANTO" - INTERNO CHIESA SANT'AGOSTINO
di Giuseppe RIZZUTI
 
 

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“La Passione” è l’opera d’arte più importante di Caltabellotta e forse del territorio. Dalle notizie che ci pervengono da parte di alcuni studiosi pare che le otto statue, tutte ad altezza d’uomo, siano state realizzate attorno al 1552 da Antonino Ferraro (1523 -1609) soprannominato “Imbarracucina”, su commissione dei padri Agostiniani o dei Rettori della Confraternita di S. Lorenzo per la loro chiesa. (S. Agostino non esisteva ancora).
Era l’epoca in cui si stava passando dalle rappresentazioni animate dei “Misteri” della Passione di Cristo, sull’esempio che proveniva dalla Spagna, ai gruppi scultorei raffiguranti le singole stazioni della Via Crucis da condurre in processione come a Trapani.
Che l’opera sia stata eseguita da Antonino Ferraro alias ”Imbarracucina” lo dice Gioacchino Di Marzo, citando un documento del 1552 del notaio Antonino di Blasio, non più esistente. Questa tesi, che in verità sembra abbastanza fondata, è condivisa e portata avanti dallo studioso giulianese Antonino G. Marchese, concittadino del Ferraro, convinto che “il Compianto”, come lui lo chiama, sia “fatica” del suo illustre conterraneo. Originariamente il gruppo era stato collocato nel cappellone centrale della Chiesa di S. Lorenzo, dove è rimasto per circa quarant’anni. Solo nel 1594 le statue sono state trasferite nella cappella laterale destra della stessa chiesa, le cui pareti sarebbero state nel frattempo affrescate da Orazio Ferraro, figlio dell’autore. Lo storico saccense Ignazio Navarra, avanza alcune perplessità soprattutto sulla paternità degli affreschi. Egli sostiene che a Caltabellotta in quel periodo viveva un pittore/scultore di ottima mano, tale Pellegrino de Plazza (Pinu di Chiazza) nato attorno al 1560 allievo di Antonino Ferraro e coetaneo del figlio di questi: Orazio. Sarebbe ragionevole pensare che almeno in questi ultimi ci possa essere la mano di quel valente pittore/scultore caltabellottese del ‘500 di cui si sa poco e che pare avesse realizzato altri affreschi nella stessa chiesa di S. Lorenzo, andati perduti. Non va sottaciuta, inoltre, la tradizione popolare orale che parla di un forestiero perseguitato, ospitato dai monaci agostiniani che allora vivevano nel convento di S. Agostino attiguo alla chiesa di S. Lorenzo, che avrebbe eseguito l’opera gratuitamente e di notte quale ricompensa per l’ospitalità che riceveva. Tale leggenda racconta anche che le statue, realizzate in argilla e tutte intere, sarebbero state allestite e cotte in sito. Pare invece che le terrecotte siano state modellate a pezzi e assemblate successivamente. Come possiamo notare le incertezze sull’esecuzione dell’opera non sono poche. Vale la pena soffermarsi un attimo sulla disposizione scenografica originaria dell’opera, intensamente drammatica, che vede il Cristo morto deposto fra le braccia di Maria sua madre attorniata da Giovanni, dalla Maddalena e da due Pie Donne. Più in avanti sono disposti Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, che secondo alcuni studiosi rappresenterebbero i volti dei committenti dell’opera stessa. Tutte le statue, a grandezza naturale, sono molto espressive e denotano una notevole abilità dell’artista che le ha modellate.
Sicuramente l’antica collocazione nel cappellone di S. Lorenzo, molto più largo e con lo sfondo scenografico degli affreschi raffiguranti l’ambiente del Calvario, con i due ladroni sulle croci e tutto il paesaggio circostante, era migliore. Purtroppo nei primissimi anni ’60 la chiesa di S. Lorenzo versava in un profondo stato di abbandono.
 Questa fu la ragione che spinse i componenti della Confraternita di S. Lorenzo, che ivi aveva la sua sede, a portare avanti l’iniziativa del trasferimento di tutto l’insieme nell’attigua e frequentatissima chiesa di S. Agostino, anche se in uno spazio più ristretto.

 

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